Kintsugi la filosofia giapponese come metafora della psicoterapia
Il Kintsugi è una filosofia orientale che significa letteralmente “riparare con l’oro”. È un’antica pratica e tecnica giapponese che consiste nel riparare oggetti in ceramica, utilizzando l’oro per saldare insieme i frammenti.
La cultura orientale differisce molto da quella occidentale, sotto diversi aspetti. In Occidente c’è la tendenza a gettare via gli oggetti quando si rompono oppure si cerca di ripararli senza lasciare tracce visibili del danno. Per gli occidentali la rottura, le difficoltà e le cicatrici spesso hanno un significato negativo, legato al dolore, alla vergogna, al senso di colpa e al fallimento. Facciamo fatica a considerare che i momenti di crisi e di dolore possano costituire nuove risorse e offrire nuove opportunità di cambiamento.
In Occidente quando si rompe un oggetto per ripararlo usiamo la colla trasparente, in modo da nascondere le linee di rottura.
Quante volte abbiamo detto: “Se il vaso è rotto, è rotto! Non potrà più essere come prima!”. Per i giapponesi, invece, ogni storia, anche se dolorosa, è fonte di bellezza e ogni cicatrice viene mostrata orgogliosamente.
Secondo la tecnica del Kintsugi, da una ferita è possibile ridare vita a ciò che è stato danneggiato, creando una nuova forma da cui nasce una storia ancora più preziosa, sia esteticamente che interiormente. Ogni pezzo riparato diventa unico grazie alla casualità con cui la ceramica può rompersi e per le irregolari decorazioni che si formano con il metallo.
Le crepe che prima erano punti fragili da nascondere vengono valorizzate con l’oro.
Il Kintsugi non è solo una tecnica di restauro, ma ha un forte valore simbolico. Rappresenta la metafora delle fratture, delle crisi e dei cambiamenti che l’individuo può trovarsi ad affrontare durante la vita.
L’idea alla base è che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore. La particolarità di questa pratica risiede nel fatto che il vaso non viene riparato nascondendo le crepe, ma anzi queste vengono sottolineate attraverso l’oro.
Attraverso la valorizzazione della frattura, il vaso rotto ora ha una nuova storia.
Il Kintsugi permette di recuperare e valorizzare un oggetto rotto; allo stesso modo, una persona può superare e “guarire” le proprie ferite interne. Inoltre, come le fratture vengono valorizzate con l’aggiunta del prezioso metallo, la persona può mostrare orgogliosa queste cicatrici che rappresentato il suo vissuto in un processo di rinascita.
La pratica del Kintsugi, quindi, può essere considerata una metafora per illustrare il processo psicoterapeutico, cioè quello che avviene nella stanza di terapia.
La terapia può aiutare le persone che si sentono “a pezzi” ad affrontare e superare gli eventi critici che stanno vivendo.
Nel percorso di psicoterapia il professionista accompagna la persona nella costruzione di una nuova realtà, ricomponendo le sue parti interne e valorizzando le sofferenze, con lo scopo di far emergere e rafforzare le sue risorse.
La persona sarà quindi più consapevole delle proprie risorse e riuscirà a vedere le proprie ferite da un’altra prospettiva, avendole trasformate in punti di forza.
Non è quello che fanno i giapponesi nel Kintsugi?
L’arte del Kintsugi richiede grande pazienza e ciò vale anche per un lavoro su stessi: la riparazione, passo dopo passo, prende lentamente forma.
Elaborare una ferita è un processo lungo, lento e a volte scoraggiante. Richiede cura e pazienza, ma attraverso le prove e i tentativi si va avanti, anche quando si ha l’impressione di essere rimasti fermi al punto di partenza. Ad un certo punto tutto comincia a diventare più chiaro, si vedono dei progressi e si inizia a guardare le cose da un altro punto di vista.
Ricordiamoci che il dolore e la sofferenza sono parte della vita. Imparare a sentire e riconoscere queste emozioni ci insegna che siamo vivi. Con il tempo, il dolore viene elaborato, passa e lascia un segno. Ci lascia cambiati, a volte più forti, a volte più saggi.
Il Kintsugi è una lezione di vita. Ci insegna ad accettare e accogliere le nostre ferite anziché rimuoverle, a trasformarle in punti di forza “ricoprendole d’oro”. Esse sono la testimonianza del nostro passato, delle prove superate, della nostra storia e di quello che siamo.
Solo quando ci rompiamo, scopriamo di cosa siamo fatti.
Ziad K. Abdelnour